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L’incidente

Quinto, sesto, settimo giorno…non saprei dirlo.

Ero in ritiro ormai da un po’ e fino a quel momento non ero mai più uscito dalle mura del monastero. Avevo quasi sempre preferito fare le meditazioni camminate attraverso i lunghi corridoi antichi e anche quando mi spostavo all’aperto, rimanevo lungo il perimetro del chiostro, protetto dai suoi archi a vela.

Ma quel pomeriggio il sole che stava per tramontare nel cielo limpido d’inverno fu un irresistibile invito ad oltrepassare le porte e muovere i miei piedi sulla morbida erba e sulle foglie scricchiolanti del parco circostante.
Respiro dopo respiro, passo dopo passo. Cercando di sentire il sapore della luce che cambiava e il flusso incessante dell’esperienza che mutava con lei.
Le nuvole riparavano lente dietro ai contorni tondeggianti del piccolo monte.

Andare lentamente, senza voler arrivare, eppure arrivare ad ogni passo.
Fino a che passai accanto allo spiazzo di cemento.

E la periferia dei miei occhi colse una forma blu. Solida, immobile, un bagliore di riflessi metallizzati. La mia auto.

Guardai attraverso i finestrini e vidi l’abitacolo, mi parse fermo nel tempo. In un tempo da cui mi ero sentito momentaneamente affrancato.

Quel tempo, quella vita ora mi fissavano da dietro i vetri con occhi colmi, insistenti, ingombranti.

Fu così che la mia auto mi urtò, mi investì e feci un incidente con le mie abitudini.

Resta da capire chi fosse a guidare.