Skip to main content

Che duri anni interi o solo qualche giorno, che ci si sposti di migliaia di chilometri o di pochi millimetri, viaggiare è quel movimento dell’animo che intenzionalmente ed inevitabilmente mette tra parentesi l’abituale e spalanca le porte all’altro.

 

Tutto comincia dal modo in cui si guardano le cose

Lo sguardo di chi parte osa vedere i confini come possibilità e non come limiti. Lo stesso viaggiatore, lasciando temporaneamente ciò che chiama casa, diventa altro da sé, dalle convenzioni, dai ruoli e da ciò che pensa di conoscere già sulla geografia fisica e dell’animo umano. 

Chi è in viaggio non cammina con la perentorietà baldanzosa e affermativa di un punto esclamativo, ma procede con la morbidezza e la generosa apertura del punto di domanda. Egli non è più un’affermazione, piuttosto diventa una conversazione con il mondo. Per questo del suo ritorno non c’è vera garanzia se non quella che chi varcherà nuovamente la soglia della propria Itaca sarà una persona diversa da quella che l’ha attraversata lasciandola.Anche quando pare di poche spanne, un viaggio può restare senza ritorno”. Forse è proprio questo che il Barone Arminio Piovasco di Rondò vuole dire al figlio Cosimo, nel Barone Rampante di Italo Calvino.

 

Il primo nemico del viaggio: l’aspettativa

La linfa dell’avventura si può assaporare solo con un’apertura di tutti quanti i sensi, del cuore e della mente, che ci lascia completamente liberi di errare, nel doppio significato di vagabondare e di esporci all’errore, a ciò che non risulta, nel bene e nel male, essere aderente ad un risultato pronosticato.

Per questo, al giorno d’oggi, fra le possibili insidie di un viaggio, mi pare particolarmente minacciosa quella dell’aspettativa.
Non fraintendiamoci: è del tutto naturale fantasticare su una meta desiderata, sognare ad occhi aperti un posto in cui ci si vorrebbe trovare, immaginare sapori, odori, suoni e luci di terre lontane. Cullare, progettare e nutrire l’intenzione un viaggio è un meraviglioso indugiare della natura umana.  Ma qui non stiamo parlando di rêverie, o di semplice anticipazione. Stiamo parlando di quell’aspettativa ha in sé qualcosa di passivo, una sfumatura di staticità, che implica uno stare fermi ad attendere che qualcosa ci raggiunga così come lo abbiamo già pensato, uno stare immobili pur trovandoci fisicamente in movimento. Aspettarsi qualcosa è pre-sentire, mentre l’unico vero tempo dell’esperire autentico è il momento presente.

 

Subire il viaggio senza viverlo: la rincorsa al già visto (sugli schermi)

Ma di quanti luoghi, per quanto reconditi, oggi abbiamo il privilegio di non esserci già formati un’idea, seppure approssimativa?

Sullo schermo che teniamo nel palmo della nostra mano arrivano in tempo reale testimonianze da foreste tropicali, deserti aridi, antiche rovine e città eleganti. Sono foto e riprese video di una bellezza impeccabile. Spesso la nostra reazione a questo bombardamento sensoriale è il desiderio di visitare i posti da cui ci giungono queste immagini spettacolari

 

Il  vero viaggio è una risposta a una chiamata, non una reazione a uno stimolo.

Viene naturale quindi chiedersi se nell’epoca della condivisione istantanea di foto e video, degli influencer, dei travel blogger e dei percorsi già tracciati e omogeneizzati, viaggiare non rischi di trasformarsi in una rincorsa a ciò che abbiamo già visto, proprio così come lo abbiamo visto. Una sorta di tentativo di completare un album di figurine, un insieme di istantanee da collezionare e di tentativi di replicare un punto di vista già filtrato e confezionato. 

Non sarebbe forse questa una condizione più simile a quella di subire un viaggio che a quella di compierlo?

 

Il viaggio come avventura verso l’ignoto

Un vero viaggio è sempre amico dell’imprevisto, quasi mai del previsto, men che meno del già-visto, figurarsi del già digerito, elaborato e condiviso. 

Mettersi in moto verso ciò che è sconosciuto ha poco che fare con lo status, se non per quella ricerca di una temporanea liberazione dai propri ruoli abituali, per sperimentare la condizione di straniero che ci attrae e ci spaventa al contempo, gravida com’è di possibilità.

Come dunque fare germogliare e mantenere questa attitudine, questa apertura di cuore, mente e sensi?

Tra le risorse e gli strumenti che abbiamo a disposizione io credo possa occupare una posizione privilegiata la Mindfulness.

Se come dice Jon Kabat-Zinn, uno dei padri della sua rinascita e diffusione in occidente, mindfulness significa prestare attenzione, con intenzione e in modo non giudicante al momento presente, appare chiaro come coltivare la sua dimensione sia in antitesi diretta con l’aspettativa e tutti i suoi effetti collaterali.

 

Esercitare la nostra consapevolezza ci porta risvegliare i sensi, ad aprirci al momento presente, ad accogliere le cose come sono. È facile vedere come questo possa sposarsi con la dimensione del viaggio.

 

L’avventura è ciò che ad-viene, ciò che si presenta a noi in modo naturale ed inatteso, ciò che è libero da aspettative. Contempla tutto ciò che di piacevole o spiacevole trova lo spazio e il modo di essere incontrato. Se ci si può rendere conto che così come “non ci si bagna mai due volte nello stesso fiume”, allo stesso modo non esistono due tramonti uguali fra loro e non si potrà mai far visita più di una volta alla medesima immutata città, è perché abbiamo una via d’accesso alla radicale unicità e singolarità di ogni istante che ci è dato.

 

La mindfulness come lo sguardo dell’esploratore

Aprendo i sensi e la mente a chi e a che cosa è altro da noi abbiamo la possibilità di fare esperienza delle cose come sono, e non come pensiamo che siano, o come vorremmo che fossero.

Abbiamo l’opportunità di sciacquare i nostri occhi dal già visto, le nostre orecchie dal già sentito, la nostra mente dal già capito. Possiamo scoprire di essere disposti e quasi desiderosi di perderci e di essere in grado di ritrovarci. Sapremo ad esempio che milioni di persone di ogni epoca potrebbero aver visto ciò che sta di fronte a noi, ma mai nessuno lo ha fatto in questo preciso momento, dal nostro particolare punto di vista. Saremo in grado di trovare uno spazio di ascolto e tolleranza, più capaci di accogliere la diversità prima di cedere all’istinto di catalogarla.

Se concediamo al momento presente di essere il tempo della nostra esperienza possiamo stare certi che il nostro viaggio sarà costellato di meraviglia e scoperta continua, e ci rimarrà nell’anima, nel cuore e nell’intero sistema nervoso.

 

La mindfulness può farci scoprire come in noi ci sia uno sguardo che vede la realtà con un’eterna mente di principiante. 

 

Nell’incerta etimologia della parola esplorare, mi affascina la tesi di chi ne trova l’origine nel latino ex-pluere: lasciare piovere, fare scorrere fuori. 

Concedere di tanto in tanto alla realtà di debordare dai confini che le diamo, le concede sì di travolgere le nostre certezze ma anche di pulire e lavare i pesanti detriti di cui spesso queste sono fatte.

Quale migliore occasione di un viaggio quindi per potersi aprire all’esperienza di andare incontro al mondo come se fosse un frutto sconosciuto? 

Potremo allora davvero tastarne la buccia, osservare il colore e le sfumature, annusarne l’odore, saggiare la sua consistenza e assaporarne la polpa per arrivare forse al succo, che diventerà inevitabilmente parte di noi. Comprendere, senza necessariamente capire, sapere in quanto avere sapore.