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E se tutti i risultati della ricerca scientifica sulla meditazione venissero smentiti?

Nel flusso di coscienza e informazione collettivo, sempre più orientato verso la prestazione ed il risultato, si sente parlare spesso e volentieri di evidenze scientifiche dei benefici della meditazione.
Il punto della ricerca scientifica sugli effetti della meditazione è quello di comprendere in che modo questa pratica influenzi la mente e il corpo, e di determinare se, come e in quale misura possa apportare benefici tangibili alla salute fisica e mentale.

Tra i vari obiettivi di questa ricerca c’ è quello di verificare empiricamente le affermazioni sulle ricadute positive della meditazione, come la riduzione dello stress, il miglioramento dell’attenzione, l’aumento della resilienza emotiva e il potenziamento del benessere generale.

C’è poi un’indagine volta a mettere sempre meglio in luce i meccanismi neurologici che sottendono e derivano da questa dimensione: quali aree del cervello sono coinvolte e come le connessioni neurali cambiano con la pratica regolare della meditazione. C’è un giustissimo interesse a considerare gli effetti psicologici e comportamentali della pratica, le sue possibili applicazioni cliniche e i suoi limiti e potenziali controindicazioni.

Tutto questo è utile, responsabile e da incoraggiare.
Bisogna però fare attenzione: la ricerca non dovrebbe serve a legittimare la meditazione o divenire conditio sine qua non per intraprendere un percorso nella sua direzione.

 

Innanzitutto, tale campo di indagine è estremamente recente: l’interesse scientifico per la meditazione è emerso in Occidente a partire dagli anni ’60 e ’70, quando la controcultura ha abbracciato pratiche orientali come il buddismo e lo yoga. Ricercatori pionieri come Herbert Benson hanno iniziato a studiare gli effetti della “risposta di rilassamento”, scoprendo che la meditazione poteva abbassare la pressione sanguigna e ridurre lo stress.

Negli anni ’80 poi grazie agli studi di Jon Kabat-Zinn, che ha sviluppato il programma di riduzione dello stress basato sulla mindfulness (MBSR), la meditazione è stata studiata e applicata in ambito clinico. Anche grazie alla diffusione della mindfulness numerose ricerche hanno in seguito confermato l’efficacia della mindfulness nel ridurre l’ansia, la depressione e il dolore cronico.

Infine, semplificando molto la questione, a partire dagli anni ‘90, l’introduzione di tecnologie avanzate come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e l’elettroencefalogramma (EEG) ha permesso agli scienziati di osservare come la meditazione influenzi il cervello.

Nonostante gli importanti e fruttuosi progressi in questo campo, la ricerca sulla meditazione incontra sfide, tra cui differenze metodologiche, piccole dimensioni del campione in alcuni studi e difficoltà a isolare la meditazione come variabile indipendente.

 

Ma nemmeno questo è il punto.

Probabilmente nessuno di noi smetterebbe di fare passeggiate a contatto con la natura se non ci fossero evidenze scientifiche a confermarne i benefici sul nostro sistema. Allo stesso modo non trascureremmo la qualità del sonno, delle relazioni umane, l’attività fisica e il contatto fisico anche se queste abitudini non venissero incoraggiate dall’esterno.
Lo sappiamo bene, nel corpo, nella mente e nel cuore, che alcune attività, o meglio alcune modalità della nostra esistenza ci nutrono.

 

Lo stesso vale per la meditazione. Una volta entrate ed entrati nella corrente della pratica, pur incontrando tutte le resistenze e le piccole o grandi difficoltà che si presentano nel coltivare una nuova attitudine, difficilmente avremo dubbi nel constatare che si tratti di una storia d’amore con la vita.

Che sia benvenuta ed incoraggiata la ricerca scientifica a riguardo, ma che allo stesso tempo siamo consapevoli noi di come questa non possa esaurire l’esperienza viva e pulsante dell’incontrare la vita così come è. Ragione per cui se anche ogni risultato della ricerca scientifica dovesse essere invalidato, credo che nessun praticante e nessuna praticante penserebbe per un solo istante di smettere di sedersi sul cuscino e presentarsi all’appuntamento con l’essere. Semplicemente essere.